Paolo VI: con questo nome il 21 giugno 1963 Giovanni Battista Montini, cardinale arcivescovo di Milano, sale al Soglio pontificio. Sarà Papa per 15 anni, morendo a Castelgandolfo il 6 agosto 1978. Bresciano (di Concesio) per nascita, romano per quasi tutta la sua esperienza ecclesiale (salvo, appunto, i nove anni di episcopato milanese), è uno dei quattro Pontefici del secolo XX già canonizzati (insieme a Pio X, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II). È stato, probabilmente, il successore di Pietro più influente sulle vicende politiche italiane della storia unitaria nazionale. Nonché, naturalmente, al crocevia di uno snodo capitale della storia della Chiesa cattolica, quale il Concilio ecumenico Vaticano II.
60 anni dall’elezione, che cadono proprio oggi e 45 dalla morte sono un tempo appena sufficiente, per abbozzare un giudizio sulla sua azione e il suo magistero. Proviamoci, allora, con la modestia (non falsa) di chi sa di portare soltanto un punto di vista; e la dichiarata ambizione di incitare i lettori a fare altrettanto, o almeno sollecitarne la curiosità.
Sotto il segno di Papa Pacelli
Si è detto della romanità ecclesiale del futuro Paolo VI. In effetti, il giovane don Montini, dopo una brevissima parentesi di servizio presso la nunziatura di Varsavia (nel 1923, a 26 anni, essendo nato nel 1897), entra subito in Segreteria di Stato, l’anno dopo. Vi resterà per 30 anni, di cui 15 da “numero 2” (Sostituto) e due da “numero 1 ex aequo” (pro-segretario di Stato, in tandem con monsignor Domenico Tardini). La via della diplomazia pontificia era segnata, per lui, dagli studi presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica, la fucina dei nunzi e delegati apostolici.
Tutta l’esperienza di curia di Montini è legata ad Eugenio Pacelli, che come lui e prima di lui sarà Papa, col nome di Pio XII (1939-1958). Il rapporto è già consolidato quando, nel 1937, poco più di anno prima della morte di Pio XI, il cardinale segretario di Stato Pacelli fa nominare Sostituto monsignor Montini. Divenuto Papa, Pacelli farà addirittura a meno del segretario di Stato (dopo la morte del cardinale Luigi Maglione, nel 1944); perché Montini reggerà insieme con Tardini l’ufficio: due vice senza il principale. Pare si fossero così abituati, pur con le inevitabili difficoltà, a lavorare insieme che, nel 1952, hanno declinato entrambi la porpora, onde evitare che Pio XII dovesse scegliere di quale dei due privarsi al secondo piano del Palazzo apostolico.
L’arrivo a Milano
Per Montini, però, l’avvicendamento in Curia romana è solo brevemente rimandato. Nel 1954, muore l’arcivescovo di Milano, il cardinale benedettino Ildefonso Schuster. E Pio XII manda il pro-segretario di Stato per gli affari ordinari nell’episcopio di piazza Fontana. Promoveatur ut amoveatur, come si è detto spesso, cioè il segno di una sopravvenuta diffidenza, dopo che per anni avevano imperato la più alta stima e la fiducia più completa? Difficile a dirsi e da credersi. È risaputo, invece, che il cosiddetto “partito romano” della Curia mal sopportava l’influenza di Montini sul Papa e la sua vicinanza all’ultimo De Gasperi (quello del ribadimento della pregiudiziale antifascista, anche di fronte al pericolo di avanzata del fronte social-comunista). Inutile, comunque, cercare di ricostruire il senso profondo di quel trasferimento, che è morto insieme con i suoi due protagonisti.
Il Concilio, i no, e i dubbi sofferti
Sarà il successore di Pacelli, Giovanni XXIII (1958-1963), a dare subito il cappello cardinalizio a Montini. E, così, a rendere il conclave del 1963 scontato quasi come quello del 1939 (ancora una volta, torna il paragone Pacelli-Montini). Roncalli, però, all’arcivescovo di Milano lascia in eredità anche un Concilio iniziato e da portare a termine. Già: ma in che modo e in che senso? Paolo VI ci metterà due anni e mezzo, tre sessioni e un imponente lascito documentale (4 costituzioni, 9 decreti, 3 dichiarazioni), per dire del modo. Il senso, forse, da molti è stato equivocato, sia pure in direzioni opposte. Il punto è il cambiamento nella continuità e non la rottura. Paolo VI non ha rifatto la Chiesa cattolica: l’ha incoraggiata a ripensarsi alla luce della sua costitutiva dimensione storica. In fondo, allora come oggi, ciò che fa la differenza è la disponibilità a stare dentro la Chiesa, riconoscendo che uscirne peggiora la posizione tanto di chi se ne va, quanto di chi rimane.
Per il resto, il governo ecclesiale di Papa Montini sarà segnato da due attitudini. Il coraggio, con cui il Papa intellettuale ribadirà alcuni argini al dilagare del pensiero secolarizzato dentro la Chiesa: no alla contraccezione, no al divorzio, no al matrimonio dei preti. Il dubbio: anzitutto, quello sulla propria tenuta psicofisica, che dalla sfera personale trasferirà a quella istituzionale, fissando per tutti regole controverse (l’esclusione dei cardinali ultra-ottantenni dal Conclave, le dimissioni di vescovi e parroci a 75 anni), che tuttavia sono ancora in vigore. È stato, comunque, un Papa di grande influenza: basti pensare che ha creato cardinali ben 3 dei 4 suoi successori.
Montini, la Dc e…
Non possiamo non ricordare, infine, la rilevantissima influenza di Giovanni Battista Montini sulle vicende politiche italiane. Figlio di un senatore della prima esperienza cattolica in politica dell’Italia unitaria, quella popolare promossa da don Luigi Sturzo, il futuro Paolo VI è stato, insieme al suo mentore Pio XII, il maggiore ispiratore della seconda fase di quell’epopea. La Democrazia cristiana, successivamente di De Gasperi e Scelba e poi di Fanfani e Moro, era una creatura concepita insieme dal Papa e dal suo stretto collaboratore, almeno nell’accezione di cinghia di trasmissione sociale del magistero della Chiesa.
Nella mente di Pacelli e di Montini, quest’idea era sostanzialmente un tutt’uno con l’altra, secondo cui i laici impegnati in politica dovevano rifarsi, per l’essenziale, alle direttive della gerarchia e (segnatamente, nel caso dell’Italia) del Papato. Di qui, il partito unico dei cattolici: il quale, però, andando in qualche modo col “pilota automatico” nel firmamento dei valori e degli ideali, ha finito per essere preda, terra terra, della tentazione dell’occupazione del potere. L’uno-due laico-laicista degli anni 70 (divorzio-aborto) ha disilluso Paolo VI, facendone svanire il sogno dell’Italia come Paese cattolico esemplare.
Da cinque anni, Santa Romana Chiesa fa memoria liturgica di Paolo VI il 29 maggio, domandandone l’intercessione. I cattolici italiani e, più in generale, tutti i compatrioti hanno motivo per approfondirne l’esperienza: in essa, affonda le radici più di metà della storia repubblicana.
Corrado Cavallotti è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università Cattolica. Ha vinto il Premio Gemelli 2012 per il miglior laureato 2010 della Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza. Ama la storia, la politica ed è appassionato di Chiesa. Scrive brevi saggi e collabora con il periodico Vita Nostra.